Sono le nove del mattino e già fervono i preparativi nella grande cucina di via Ghedini a Torino. Una cucina speciale, dove gli chef sono persone che ai fornelli da tempo non si mettevano più, perché una casa non ce l’hanno o perché stanno per ritrovarla.
“Nella maggior parte dei dormitori torinesi gli ospiti non hanno la possibilità di farsi da mangiare da soli e quando il servizio di distribuzione pasti è garantito, le grandi quantità vanno inevitabilmente a discapito della qualità e della varietà degli alimenti serviti in tavola”, spiega Cristian Campagnaro, professore associato del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, che coordina il laboratorio “Chef per un Giorno”, sostenuto da Progetto Arca.
“Anche se qualche ospite c’è stato che ha trovato lavoro nel settore della ristorazione, l’obiettivo non è quello di avviare alla professione di cuoco”, precisa Campagnaro.
Fiducia in se stessi, responsabilità, sviluppo delle capacità relazionali e acquisizione di buone pratiche legate al cibo, questo è il vero cuore del programma che in tre anni ha già coinvolto più di 50 persone.
Ogni martedì e giovedì della settimana, tre o quattro ospiti, affiancati da docenti e studenti del Politecnico e dell’Università di Torino, si rimboccano le maniche per preparare un pranzo completo, dal primo al dolce, e mettere a tavola almeno una ventina di persone.
“Per prima cosa concordiamo il menu”, racconta Rita, una delle signore che sono in attesa di andare a vivere in una casa popolare. “Dobbiamo tenere presenti i gusti personali ma anche la stagionalità dei prodotti”, aggiunge Roberto che è il più meticoloso del gruppo. Il passo successivo è stilare l’elenco di quel che serve e andare a piedi a fare la spesa in un market vicino. “Per gli acquisti ci diamo un budget e stiamo attenti a non superarlo”, spiega Sara, tutor del laboratorio abilissima a governare gli umori e a star dietro a ogni dettaglio del lavoro in cucina. Dove tra un soffritto e un’acqua che bolle c’è lo spazio anche per raccontare qualcosa di sé.
L’una arriva veloce, la tabella di marcia è rispettata. Tavola apparecchiata, pane affettato e disposto sui vassoi, attrezzi a lavare. Arrivano i compagni dai laboratori vicini e si condivide il pranzo come con degli amici che vengono a trovarti a casa. Chiacchere, apprezzamenti, qua e là anche qualche osservazione. “All’inizio uno dei nostri chef si offendeva se appena gli facevi notare che la pasta era un po’ asciutta”, racconta Campagnaro. “Con il tempo ha imparato che le critiche servono e ti aiutano a crescere”. Nel lavoro, nella vita, si fa così.