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Lockdown è stata la parola chiave che ha accompagnato la giornata di ogni cittadino negli scorsi mesi di marzo e aprile, in cui tutti noi siamo rimasti in casa, isolati e distanti gli uni dagli altri, per tutelare la nostra salute, quella dei nostri cari e della comunità intera.
La casa, il bene-rifugio per eccellenza, è diventata anche l’unico luogo dove sentirci protetti e al sicuro. Ma chi una casa non ce l’ha?

Fin dall’inizio, ci è stato chiaro che la disposizione di Governo e Regioni di restare a casa fosse una contraddizione in termini per tutte quelle persone, oltre 50.000 in Italia, che una casa, un tetto sotto cui ripararsi, non ce l’hanno. #iorestoacasa, l’hashtag di tendenza che per mesi è rimbalzato sulla rete, imponeva di essere tristemente declinato al condizionale: #iovorreirestareacasa.

Da un giorno all’altro le mense per i poveri hanno chiuso perché non potevano esserci assembramenti, migliaia di persone non hanno più avuto da mangiare né la possibilità di lavarsi a causa della chiusura di docce e bagni pubblici. Il venir meno della circolazione di passanti ha fatto saltare anche ogni legame informale di sostegno.

Con 10 uscite alla settimana, le Unità di strada di Milano, Roma e Napoli hanno potenziato l’assistenza alle persone senza dimora per distribuire presidi sanitari come mascherine e gel disinfettante, kit per l’igiene personalesacchetti viveri, con la colazione, il pranzo e la cena per sopperire alla chiusura improvvisa di mense e docce per i poveri.

Anche i Centri di accoglienza hanno continuato ad offrire pasti, cure e ospitalità ma in un modo completamente nuovo.
Sanificazioni, doppi turni in mensa, apertura di zone di isolamento e di due Centri straordinari, insieme alla continua sensibilizzazione degli ospiti su che cosa fosse il Covid-19 e sulle necessarie misure di vigilanza sanitaria, sono state alcune delle principali azioni messe in campo per assistere e proteggere circa un migliaio di persone senza dimora che vivono nelle nostre strutture.
Il Centro di via Paglia, dedicato all’ospitalità notturna di persone senzatetto con problemi di dipendenza, ha prolungato l’apertura restando attivo 24 ore su 24.

Il primo sentore lo abbiamo avuto alla Bottega solidale di Rozzano, dove oltre 230 famiglie in difficoltà economica, segnalate dai servizi sociali, vengono ogni mese a fare la spesa. All’improvviso, a bussare alla porta, hanno cominciato a presentarsi persone che non sono nella lista dei nostri beneficiari, per chiedere una mano.

Contemporaneamente, si sono moltiplicate le richieste di aiuto da parte di centinaia di famiglie che, per via della paralisi di molti lavori, conoscevano per la prima volta la fame: in un baleno, l’emergenza sanitaria è diventata emergenza alimentare. Chi fino a tre mesi prima se la cavava con le proprie forze, da un giorno all’altro si è ritrovato a dover scegliere tra pagare le bollette di casa e far mangiare i propri figli.

Ogni pacco che distribuiamo è una spesa completa di generi alimentari di prima necessità – pane, olio, pasta, sugo, tonno, biscotti, latte e altri prodotti a lunga conservazione – e garantisce un pasto completo ed equilibrato ogni giorno per ogni componente della famiglia che lo riceve.

Dietro ogni porta che si apre, c’è l’incontro con una persona che spesso ha bisogno di scambiare due parole, condividere la preoccupazione per il lavoro che non c’è più e la speranza di essere chiamata per tornare a lavorare ancora.
Ogni viso racconta l’imbarazzo di dover chiedere aiuto e la gratitudine per non essere stati dimenticati.

Accanto alle fasce della popolazione più colpite dalle conseguenze e economiche e sociali della pandemia, il nostro lavoro continua.

 

 Ph Credits: Silvia Beck, Daniele Lazzaretto, Nicola Marfisi, Bruno Zanzottera

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