C’è il ragazzo arrivato in Italia in pieno inverno con addosso un paio d’infradito, il senzatetto che chiede un sacco a pelo per affrontare l’ennesima notte in strada, c’è la giovane mamma che ha bisogno di body e tutine per quando andrà a partorire in ospedale, la famiglia che non ce la fa a comprare zaini e scarpe da ginnastica nuove per tutti e tre i figli che iniziano la scuola. Povertà diverse che fanno riferimento ad un luogo comune, l’emporio-guardaroba del Centro di accoglienza in via Aldini a Milano. Sei stanzoni, che traboccano di vestiti di ogni genere, puliti e appesi con la cura che troveremmo in un vero negozio.
“Il guardaroba”, spiega Patrizia Sironi responsabile del servizio, “funziona sulla catena di solidarietà dei cittadini”. Quelli che senza sosta vengono a donare gli abiti che non usano o che non piacciono più e gli oltre 400 volontari che dietro il bancone si alternano a smistarli per genere, taglia e stagione. Puoi incontrare il pensionato, che dedica qualche ora libera dalla cura dei nipotini, come l’infermiere che viene a dare una mano dopo aver fatto la notte in ospedale.
Una cosa è certa: in via Aldini non si chiude mai e il lavoro non conosce pause. E’ così, grazie all’aiuto spontaneo di tutti, che Progetto Arca può garantire circa 27.000 cambi d’abito ogni anno, pari a tre cambi completi a stagione per ogni persona accolta, e provvedere alle richieste straordinarie degli ospiti della Fondazione: borse parto, set per l’asilo e la scuola materna, valigie con tutto il necessario per chi deve affrontare un ricovero ospedaliero.
“Per l’80% si tratta di donazioni dei cittadini, noi ci occupiamo soprattutto dell’acquisto di scarpe sportive, tra gli articoli più richiesti, e dell’intimo che per motivi igienici deve essere nuovo”, commenta Patrizia, che tiene a sottolineare anche l’aspetto della qualità delle donazioni. “I vestiti usati vanno bene, ma devono essere sempre in ottimo stato. Anche questa è una forma di rispetto verso la persona che li riceverà.”
Al guardaroba di via Aldini la consegna avviene sempre su appuntamento e il “cliente” è accompagnato durante la scelta. “In base ai suoi bisogni cerchiamo di consigliarlo sui capi che possono più fare al caso suo”. Alla fine del giro, gli indumenti scelti vengono registrati su un foglio che la persona firma. Non è solo una banale procedura di magazzino, è il modo per responsabilizzare gli utenti “queste cose ora sono tue, abbine cura”.
C’è chi non ha niente e ha bisogno di tutto, chi viene perché ha ritrovato la forza di ricominciare. “Come quella volta che un signore senza casa ci ha chiesto un abito per poter fare bella figura. Stava andando a sostenere un colloquio di lavoro”.