Una casa per tagliare i ponti con la strada. La storia di Giovanni raccontata da Paolo La Marca, educatore e referente del nostro progetto di Housing First.
“La prima volta che incontro Giovanni viveva in strada da più di un anno. Quando gli propongo di andare ad abitare in uno dei nostri appartamenti, ha lo sguardo diffidente di chi dice: «Non prendetemi in giro»”.
A parlare è Paolo La Marca, referente del progetto Housing First, un programma sperimentale cui Progetto Arca aderisce insieme ad altre 50 organizzazioni del network Housing First Italia, promosso da fio.PSD. Il modello prevede l’inserimento diretto in appartamento, senza passare più per dormitori, e si basa sul concetto di casa come punto di partenza e non obiettivo finale di un percorso di progressiva riconquista dell’autonomia.
“Giovanni aveva una vita normale, quando all’improvviso è andato tutto a rotoli”, racconta Paolo che lo segue da più di un anno e mezzo. Prima la separazione burrascosa dalla famiglia, subito dopo il fallimento dell’azienda che chiude dall’oggi al domani, lasciando a casa settanta dipendenti. Difficile rimettersi in piedi senza una rete di protezione familiare né un piano di riserva. Giovanni non ce l’ha e finisce in strada, a dormire sotto i portici della Stazione Centrale di Milano, non molto lontano da quella che oggi è diventata la sua casa.
A che punto è del suo percorso? “Un passo alla volta, sta rimettendo insieme i pezzi della sua vita.“
La sicurezza di avere un tetto, uno spazio intimo e tuo, ti aiuta a ritrovare la forza di desiderare il futuro, piuttosto che temerlo.
Il programma Housing First non pone vincoli temporali alla permanenza in appartamento e l’ospite è sollevato dalle spese di affitto e di gestione fino a quando non ricominci a percepire un reddito che gli permetta di contribuire. Ma Housing First vuol dire anche responsabilità e rispetto di alcune regole, come pulire la casa e partecipare agli incontri settimanali con gli educatori.
“Per Giovanni non è stato un problema. La sua casa è immacolata e tra noi si è instaurato un rapporto di fiducia e collaborazione.” Prosegue Paolo:
Lunedì è il nostro giorno. Cuciniamo e pranziamo insieme. Lo ascolto, mi informo sulla sua salute e su come vanno i rapporti con la famiglia. Se c’è bisogno, lo aiuto anche in piccoli lavori di manutenzione. In passato siamo andati insieme a sbrigare le pratiche per riottenere la residenza che aveva perso, vivendo in strada, oggi lo affianco nella ricerca attiva di un lavoro.
Con il tempo, altre figure importanti sono entrate a far parte della nuova vita di Giovanni. Perché Housing Fist significa anche ricostruzione dei legami sociali, a partire da quelli di vicinato.
C’è Rebecca, la vicina di casa con cui Giovanni prende il caffè prima di iniziare la giornata, la dottoressa Maggi, psicologa dell’Ambulatorio Popolare di Opera San Francesco che lo sta aiutando a riconciliarsi con se stesso, dopo il trauma della separazione. E poi Luigi, il suo osteopata, che a Progetto Arca ha fatto un dono bellissimo: mettere a disposizione il suo tempo e le sue competenze per curare il disturbo di Giovanni alla schiena, a titolo volontario.
“Mentirei – prosegue Paolo – se dicessi che nel suo percorso non ci sono state cadute e momenti bui. Ma chi non ne ha? Il ruolo di un educatore è che la persona prenda consapevolezza di alcuni comportamenti a rischio e che inizi a fare dei passi”.
Giovanni ne ha fatti tanti, e anche se ancora non cammina da solo sulle sue gambe, ha due splendide motivazioni per provarci, i suoi bambini che ora ha ripreso a vedere con regolarità. Confida a Paolo:
Non augurerei di vivere in strada al mio peggior nemico. Eppure, c’è chi crede ancora che la strada sia il frutto di una scelta.