“Il 6 luglio del 2020 ho toccato il fondo”. Per assistere fino all’ultimo il padre malato di Alzheimer, Ennio scende tutti i gradini della precarietà fino a perdere casa e lavoro e finire a dormire su una panchina della Stazione Centrale di Milano. La strada lo travolge come un ciclone, azzera la vita di prima e gli sbatte in faccia un nuovo ordine di priorità.
Primo comandamento, proteggersi dal freddo. E poi, mangiare, lavarsi e trovare un posto abbastanza sicuro dove poter chiudere occhio.
Le ore del giorno si consumano nella fatica d’improvvisare soluzioni ai bisogni più essenziali. “Per esempio, ho imparato che devi sempre avere due spiccioli in tasca perché i bagni sono tutti a pagamento, che sulla linea 90 dell’autobus puoi trovare un po’ di calore e le prese per ricaricare il cellulare. E che per mangiare ci sono le mense, ma prima devi farti la tessera”. La notte poi è interminabile e a volte fa davvero paura. “Hai voglia a nascondere le tue cose, una volta mi hanno rubato persino le scarpe”. Poi un giorno Ennio, quasi per caso, si ferma alla Stazione di Lambrate.
Se scrivessi un romanzo, lo farei iniziare dal binario 12, dove è nato tutto.
È qui, infatti, che incontra Roberto e lo “zio” Bruno: neanche loro hanno più una casa, ma il cuore è rimasto grande. Prendono Ennio sotto l’ala, si tirano su a vicenda. “Con loro ho scoperto che i treni, quando piove o ti fanno male le dita dei piedi per il freddo, possono salvarti la vita. Il nostro era ‘il Mantova’ che rimane due ore fermo in Stazione Centrale”.
Treni come rifugi, dove appoggiare la testa e abbandonarsi anche al sogno di poter essere altrove. Un anno fa quel sogno diventa realtà e la vita di Ennio riparte per un viaggio vero. Ha ben chiaro, lui, il momento della svolta: “se una persona si interessa a te, cambia tutto”. È proprio l’amico Roberto, infatti, entrato in un nostro progetto di accoglienza, a presentarlo ai nostri educatori, aprendogli anche questa volta la strada.
Oggi Ennio vive in una casa di Progetto Arca e ha iniziato un percorso di reinserimento lavorativo nella nostra cucina.
“Non mi vergogno a dire che faccio il lavapiatti”. All’inizio, racconta, era un po’ ansioso di mostrarsi all’altezza. “Poi un giorno Deborah, la mia responsabile, mi ha preso da parte e mi ha tranquillizzato: ‘Guarda che abbiamo scelto di assumere una persona, non un supereroe’. Senza l’aiuto dei miei amici e di Progetto Arca non sarei qui. Il binario 12? Ogni tanto ci torno ancora, ascolto gli annunci dei treni che vanno e che vengono, e mi commuovo”.