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Venti posti letto per chi non si può curare. Da un anno e mezzo il Centro Post Acute per Homeless di via Mambretti dà assistenza sanitaria alle persone senza dimora, ricoverate e poi dimesse, che hanno ancora bisogno di ricevere cure per portare a termine la guarigione. Incontriamo Simona Spalenza, coordinatrice infermieristica del Reparto.

Perlopiù si tratta di uomini stranieri, con un’età mista dai 30-35 anni fino agli 80 inoltrati. Gli italiani, però, sono in aumento e sono tra coloro che hanno le storie di marginalità più pesanti alle spalle.
Alcuni sono finiti in strada dopo un periodo di detenzione, altri per problemi di dipendenza da alcol e droghe. Ma sono sempre più frequenti i casi di persone che scivolano nell’indigenza dopo la perdita improvvisa del lavoro e la separazione dal coniuge. C’è chi vive in strada anche da più di dieci anni, tra continui ricoveri in pronto soccorso.

I nostri pazienti sono spesso portatori di pluripatologie, che includono infezioni respiratorie acute, tipiche dei mesi invernali, problemi dermatologici, anemie e patologie croniche come disturbi cardiaci, diabete e ipertensione. Il punto è che difficilmente si tratta di malattie che si possono curare o stabilizzare senza una terapia costante, una dieta equilibrata e buone condizioni igieniche. Cose impensabili per chi deve tornare subito sulla strada, una volta dimesso dall’ospedale.

Come un luogo protetto dove si sentono accudite per la prima volta dopo tanto tempo. L’ambiente è raccolto e questo fa la sua parte, poi conta molto l’approccio. Il nostro intervento non è solo di tipo sanitario, ma anche e soprattutto sociale. Perché non basta curare le persone, occorre che esse tornino anche a prendersi cura di se stesse.

Al momento del ricovero, chiediamo ai nuovi pazienti di consegnarci i loro indumenti per poterli igienizzare. E’ una richiesta impegnativa, perché in quelle poche cose c’è tutta la loro vita e separarsene, seppure per un tempo breve, può essere difficile e doloroso. Proprio per questo ci teniamo a restituirle nelle migliori condizioni possibili. Pulite, stirate e pronte per essere messe nell’armadio, che ogni paziente ha a disposizione. E’ una piccola cura, che restituisce dignità alla persona.

In 9 casi su 10 i pazienti non tornano più in strada e intraprendono un percorso di riabilitazione in una delle strutture di accoglienza nostre o di altre organizzazioni. Ci sono anche casi, pochi purtroppo, di ritorno in famiglia. Come quella volta in cui stavamo per dimettere un nostro paziente e a sorpresa la figlia si è presentata per riportarlo a casa. Sono usciti insieme, tra gli applausi e i pollici in su di tutti gli ospiti.

Perché per 12 anni ho gestito una casa di riposo e l’ho vista trasformarsi in un ambiente molto ospedalizzato e molto poco attento ai bisogni delle persone. Qui sono tornata a fare quello per cui ho scelto questo lavoro. Occuparmi delle persone fragili con il cuore, prima che con tutto il resto.

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