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Fino a pochi mesi prima dell’emergenza Covid-19, Marco e Nello vivevano alla Stazione Garibaldi di Milano. Per anni è stata la loro unica casa, il luogo del sonno dove riposare su panchine e vagoni, da quando la vita aveva preso male una curva di troppo.

Marco, occhi azzurri e gentili che ti guardano da dietro un paio di occhiali con una stanghetta sola, 10 anni fa guidava le gru negli scali ferroviari. Poi la produzione è calata e l’azienda ha chiuso per fallimento. Tecnicamente, è un esodato: troppo giovane per aver maturato i contributi necessari alla pensione, troppo vecchio per ricollocarsi nel mondo del lavoro. “A 56 anni non ti prendono nemmeno per fare le pulizie”.
Prima della pandemia, assisteva un’anziana signora in una casa di riposo. Non era che un piccolo lavoro ma svegliarsi con un impegno da onorare, aiuta. 

Nello, 76 anni e un eloquio che incanta, la prima cosa che racconta di sé è che ha una laurea in ingegneria elettronica e con quella si è girato il mondo: Francia, Germania, Canada, Alaska. Guadagnava e spendeva finché, all’alba della pensione, è caduto in disgrazia.
Da 12 anni è un pendolare, come si definisce lui, che la stazione la conosce palmo a palmo e non c’è addetto alla vigilanza da cui non si sia fatto voler bene.

Quando gli operatori della Comunità di Sant’Egidio, che da anni li seguono, gli hanno proposto di stare in appartamento, Marco e Nello non ci hanno pensato proprio di andarsene ciascuno per suo conto. Anche a scapito di un po’ d’intimità, molto meglio la vita insieme. E così, insieme, hanno affrontato questi mesi di lockdown, i primi in una casa vera.
Da gennaio abitano in un appartamento di proprietà comunale nella zona sud est di Milano, che abbiamo ristrutturato e arredato grazie all’importante sostegno di Fondazione Cariplo, nell’ambito del progetto ‘Dieci Cortili Cohousing’ destinato ad aumentare l’offerta di servizi abitativi sociali e ad attivare percorsi di accompagnamento socio-educativo a favore di persone fragili e famiglie a rischio di caduta in povertà.

Abituarsi non è stato immediato. “Le prime tre notti non ho chiuso occhio”- confessa Marco – “ma adesso mi sveglio che sono un’altra persona. Non puoi capire cosa significa dormire sei ore di fila senza doverti guardare alle spalle”.
Quando chiediamo quale sarà la prima cosa che faranno dopo il lockdown, non hanno incertezze.
Il venerdì l’appuntamento è in stazione. Andranno a bere un bicchiere di tè con i volontari dell’Unità di strada e passeranno a trovare i compagni di una volta, ché gli amici, quelli veri, non si dimenticano.
Anche se la vita è cambiata, un pezzo della loro è rimasto lì, su quei vagoni e fra quei binari da cui sono ripartiti per un nuovo viaggio.
La cosa più toccante la dice Nello sul finire del nostro incontro: “Sai a cosa ancora non mi sono abituato? A sentirmi le chiavi di casa in tasca. E’ una sensazione che non saprei descrivere, ma è qualcosa che ti riempie, è una bella sensazione”.

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