“Sono finito a dormire per strada una settimana prima dell’inizio del lockdown. Se questa non si chiama fatalità…”. Sorride con amarezza Marco, 43 anni, ex cameriere, ex barman, una grande passione per il calcio e l’evidente bisogno di raccontarsi.
Per sette mesi, da marzo a settembre, il suo letto è stato una panchina del parco Monte Stella, a Milano.
Siamo nel pieno dell’emergenza sanitaria e Marco non ha nessuno cui appoggiarsi. La città è un deserto, mense e docce per i poveri hanno chiuso, gli unici contatti umani della giornata sono ridotti al saluto di sfuggita di quei pochi che vengono a correre al parco. Anche dormire sugli autobus, per rubare un po’ di calore nelle ore più fredde, non è consentito per evitare assembramenti.
Nessuno ha colpe in questa storia tranne me. C’è stato un momento in cui avevo tutto: una casa, un lavoro, amici, una fidanzata. In un anno mi sono rovinato con le mie stesse mani. Il lockdown è stato il periodo più duro della mia vita ma anche quello che mi ha fatto crescere di testa.
Figlio di un giocatore d’azzardo e di una mamma che perde troppo presto, Marco viene allevato dagli zii. A vent’anni si inserisce nel settore della ristorazione dove lavora come cameriere e barman per fiere e alberghi di lusso, nel tempo libero allena una squadra di calcio giovanile. “Il problema è che ho sempre vissuto senza pensare troppo al futuro, senza darmi dei limiti. Rimpiango di aver deluso chi ha creduto in me e mi ha voluto bene, forse un giorno ci ritroveremo”.
A settembre l’accoglienza nei dormitori riapre, Marco fa richiesta e ottiene un posto letto. Tempo un mese e gli viene offerta la possibilità di andare a vivere in un appartamento in condivisione, gestito da Progetto Arca, insieme ad altre sei persone vicine di stanza, che conosce e con cui si trova bene.
Il giorno in cui ci hanno consegnato le chiavi di casa stavamo in paradiso. Ora tocca a noi provarci ma senza aiuto sarebbe impossibile.
La convivenza funziona, ognuno fa la sua parte tra pulizie, spesa e turni in cucina; comprensione e fiducia reciproca sono gli ingredienti alla base di questa piccola comunità impegnata a rimettersi in carreggiata con la propria vita. Un’equipe di educatori e assistenti sociali segue ogni ospite e vigila sul suo percorso, obiettivi diversi ma un unico traguardo per tutti: tornare all’autonomia.
I giorni drammatici del lockdown a Marco sembrano appartenere al secolo scorso. Il peggio è passato e nel futuro cosa vedi? “Un lavoro, è il primo pensiero della giornata”.
Grazie al Progetto IN – INtegrazione, INclusione, INterconnessione, che portiamo avanti con il sostegno di Fondazione di Comunità Milano onlus, ha potuto frequentare un corso di formazione e iniziare un tirocinio di sei mesi in un grande magazzino. Il lavoro gli piace, si trova bene con i nuovi colleghi, e l’aspettativa è un contratto di assunzione.
Svegliarsi e sapere che c’è un posto che ti aspetta, che hai degli obiettivi, cambia tutto, anche il modo in cui ti guardi allo specchio. Quando lavoro, io non penso al passato, io sto bene.