Incontro Monica su una panchina al sole in piazza Selinunte a Milano. Indossa cappellino color lilla e abiti sportivi; ha uno zainetto e una stampella che usa come bastone: “oggi ho in programma di farmi una bella passeggiata”.
Monica viene da El Salvador, ha compiuto 63 anni e da 46 vive in Italia. Il suo paese l’ha lasciato durante la guerra civile per andare a studiare medicina all’Università di Pavia grazie a una borsa di studio. Da una settimana è ospite in un nostro Centro di accoglienza per persone senza dimora.
È arrivata con un bagaglio pieno di ricordi legati a un’infanzia luminosa, “il periodo più bello della mia vita”: mamma e nonna la amano, le insegnano il valore della libertà e l’importanza di aiutare gli altri. Gli anni a venire non sono stati altrettanto generosi con lei.
“Ho interrotto gli studi e quello è stato il primo grosso sbaglio”, ammette senza riuscire ancora a perdonarsi di aver deluso la fiducia incondizionata dei suoi genitori.
Ma poi ho fatto l’errore più grande di tutti: lasciare che il mio compagno mi rovinasse la vita.
Monica è una donna sveglia e indipendente e come sia potuta finire in quella trappola non se lo spiega neppure lei.
“Non è stato subito cattivo con me, l’incubo è cominciato appena siamo andati a vivere insieme”. Minacce, umiliazioni, botte diventano presto all’ordine del giorno. Lei non scappa, non denuncia neppure quando finisce in ospedale, non chiede aiuto.
Più per vergogna che per paura ho imparato a nascondermi: allo specchio, davanti agli amici, sul posto di lavoro. Non rispondevo al telefono e restavo chiusa in casa finché i lividi non passavano.
Così allontana i pochi contatti che ha e quando quell’uomo le porta via anche la casa, c’è il vuoto attorno a lei: non ha più niente e nessuno che la cerchi e a cui si possa appoggiare.
Dopo svariati alloggi di fortuna, Monica finisce a dormire in strada. Non sotto i portici o in stazione, ma sull’erba di un orticello alla periferia di Milano. Per tre anni.
Con lei, altre due donne con altre storie di dolore alle spalle. Si aiutano a vicenda e resistono come possono, per ripararsi da freddo e intemperie recuperano assi e teli di plastica da una discarica che sorge lì vicino, per proteggersi fanno a turno per dormire.
Di giorno facevo le pulizie in qualche casa, la sera andavo in centro per prendere un panino e un cambio di biancheria. È così che ho incontrato voi.
L’équipe dell’Unità di strada, impegnata giorno e notte nell’assistere persone in grave marginalità, s’interessa al suo caso; all’inizio non è facile avvicinarla ma l’ascolto e la presenza costante convincono Monica che si può fidare.
Inizia un percorso in cui non è più sola e dove torna lentamente a prendersi cura di sé: colloqui, visite mediche e finalmente un tetto sopra la testa.
La prima volta che Monica arriva al Centro di accoglienza è pomeriggio, ad accoglierla un letto vero dove dorme 4 ore di fila. Quando le chiedo come si trova, mi dice che ha conosciuto due connazionali e che a questo mondo bisogna imparare ad andare d’accordo con tutti, “come mi ha insegnato la mia mamma”.
Prima di guardarla andare via, col suo zainetto da turista e il suo bastone, le auguro una buona passeggiata. Che per Monica, oggi e quelle che verranno, siano tutte giornate piene di sole.