“La pasta se la cuoci per dieci minuti si ammolla. Per sapere se è pronta, devi toccarla con le mani.” Raffaele, in fatto di cucina, se ne intende. A Napoli, dove lavorava dietro ai fornelli di un grande ristorante, metteva a tavola fino a 150 persone. Adesso, prepara per sé e per la sua Antonella.
Si sono conosciuti in strada otto anni fa e sono diventati inseparabili, l’uno il sostegno e la sicurezza dell’altro.
“Il segreto è guardare al giorno dopo, perché se ti guardi indietro è finita“, dice Raffaele con uno spiccato accento napoletano e la parlantina sciolta, abituato com’è a supplire in pubblico ai silenzi e alla timidezza di lei.
E così, in un fiume di parole, racconta gli errori di gioventù che lo hanno fatto scivolare nell’indigenza, le notti sulla panchina di Greco Pirelli, “accovacciati sotto montagne di coperte”, il mangiare dove capitava e quanto era complicato farsi una doccia, l’amicizia con “la” Rita, “una signora senzatetto di 70 anni che ci faceva da mamma” e il sogno di avere di nuovo una casa, dove tornare la sera e poter ritrovare quell’intimità che la strada ti nega.
Non abbiamo mai voluto andare in dormitorio. Non volevamo essere divisi.
Raffaele spiega così la scelta sua e di Antonella di frequentare la strada per otto inverni di fila. Questo è il secondo che trascorrono in appartamento, uno dei 94, tra Milano e hinterland, che Progetto Arca mette a disposizione di persone e famiglie senza dimora per il periodo necessario alla ripresa e alla riconquista di una stabilità.
“E’ piccolo ma c’è tutto l’essenziale”, commenta Raffaele, mostrandoci il monolocale che alle pareti bianche ha appese le foto della loro nuova vita insieme.
Ilaria, assistente sociale di Progetto Arca, fa visita alla coppia una volta alla settimana. E’ una di famiglia per loro, e un punto di riferimento.
“Adesso che hanno ottenuto la residenza, che avevano perso vivendo in strada, possiamo avviare le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità di Antonella, che ha un passato burrascoso e soffre di disturbi importanti della memoria. Parallelamente, ci stiamo occupando del loro reinserimento sociale e lavorativo, agendo in rete con altre organizzazioni del territorio.”
Grazie al supporto di Fondazione San Carlo, Raffaele ha da poco iniziato un tirocinio presso il Refettorio Ambrosiano della Caritas – “ieri ho sfornato quattro teglie di biscotti e, non per vantarmi, tutti mi hanno fatto i complimenti” -, mentre al Centro Diurno di Ronda della Carità sta imparando a usare Internet e la posta elettronica e ha riscritto il suo curriculum vitae.
Quando lui è al lavoro, Antonella pensa alla casa – “un compito che le riesce sempre meglio”, la incoraggia Ilaria – e, una volta alla settimana, presta qualche ora di volontariato nella biblioteca di quartiere, gestita dai custodi sociali.
Ci arriva a piedi, venti minuti di cammino in tutto. E’ l’unico tragitto che Antonella sente di poter affrontare da sola, senza la paura di perdersi, dimenticando la strada. Sarà perché è un lavoro che le dà soddisfazione, perché è il “suo” lavoro, lo stesso che faceva, una vita fa, nella biblioteca di Castelletto Ticino. Alla domanda “ti piace leggere?”, pesca dal comodino “Vertigine senza fine” di Cornell Woolrich e aggiunge “i miei preferiti sono i romanzi storici e i thriller.”
Come spesso accade, Raffaele parla a raffica, per entrambi:
È come se fossimo rinati. Avere la possibilità di fare una doccia, di dormire in un letto vero, di raccontarci come è andata la giornata, sono cose che in strada non riesci a fare… In una scala da 0 a 10 io sono partito da 0 e adesso alla mia vita do un bel 6. Da qui in avanti possiamo solo migliorare.