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“Ringrazierò sempre questo posto perché mi ha fatto incontrare lei”. Paolo e Marina si tengono per mano, occhi negli occhi, sono raggianti e sprigionano una tenerezza infinita. Si sono conosciuti al Centro di accoglienza di via Aldini a Milano e da quel momento non si sono lasciati più.
Dice con grazia Marina, un passato burrascoso alle spalle di cui preferisce non parlare:

Paolo il suo prima lo racconta invece d’un fiato. Milanese, sessant’anni, lavorava come impiegato all’ufficio sinistri di una grande compagnia assicurativa. Una vita sommessa e negli ultimi anni piena di tribolazioni. Assiste nella malattia e vede andarsene in brevissimo tempo i genitori e gli affetti più cari; sempre più solo, si ammala di depressione, trascura e perde il lavoro. Da lì è tutto un precipitare in caduta libera. Le spese per sopravvivere divorano in fretta i risparmi, è costretto a rinunciare alla corrente per tenere acceso almeno il gas e cucinare; alla terza rata d’affitto non pagata, sopraggiunge lo sfratto.

L’arrivo, due anni fa, in via Aldini è ricordato come un sollievo. “La casa era diventata una prigione, non ce la facevo più a stare sempre solo”.

Che sia un bene profondo si capisce da come si sono presi cura l’uno dell’altra, scambiandosi le ferite e ricucendole per darsi una seconda possibilità da costruire insieme. Un mese fa la notizia che tutti aspettavamo: la domanda di casa popolare è stata accolta. È un bel bilocale, nel quartiere Isola a Milano, lo stanno sistemando con l’aiuto di qualche amico e adesso contano i giorni per andarci a vivere. “È tutto così perfetto che a volte ho paura, mi sembra impossibile che stia succedendo proprio a me”, sorride Marina. Paolo la stringe a sé e aggiunge una frase in cui c’è tutto:

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