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“Di tutto il viaggio ricordo soprattutto la paura del mare. Quando sei su un gommone che imbarca acqua sotto il peso di sessanta corpi, due cose puoi fare: stare fermo e pregare.”

Tsegehans Weldeslassie, per gli amici Ziggy, è un uomo allenato alla paura. Ad Asmara in Eritrea, dove nasce trentasei anni fa in piena occupazione etiope, “rischiavi la vita tornando a casa dopo l’ora del coprifuoco”. Ziggy, però, è anche un uomo allenato alle privazioni e alla resistenza. Subito dopo la laurea in matematica, riceve l’ordine di arruolarsi nel servizio nazionale. In Eritrea è un incarico obbligatorio, imposto a tutti i giovani, uomini e donne, e a tempo indeterminato. Chi rifiuta, finisce in carcere. E Ziggy rifiuta. Come tanti suoi coetanei, si gioca il tutto e per tutto in un viaggio epico e disperato verso l’Europa, alla ricerca di un posto in cui vivere in pace.

Superato di nascosto il confine con il Sudan, ai piedi le scarpe da ginnastica che lo zio d’America gli ha regalato, Ziggy trova ad attenderlo i trafficanti libici di esseri umani e 5mila chilometri di deserto da attraversare in tre settimane a una temperatura di oltre quarantacinque gradi. “Dormivamo per terra, due o tre ore al massimo, bevevamo poco e mangiavamo ancora meno”. Ma la prova più dura deve ancora arrivare. Il 30 settembre, giorno del suo compleanno, Ziggy si imbarca a Tripoli su uno dei barconi che solcano ogni giorno il Mediterraneo.

Tre giorni di navigazione e poi, finalmente, terra. “Quello è stato il giorno più bello della mia vita”. Ziggy è esausto, senza soldi e senza vestiti, ma vivo.
Lo sbarco a Lampedusa, però, non segna ancora la fine del suo viaggio. Dopo il deserto di sabbia, Ziggy scopre che c’è un deserto forse ancora più duro da affrontare, quello di una vita in un Paese non tuo, dove sei senza diritti e non hai amici e una famiglia che ti protegga. “Questo Paese non fa per me”, si ripete all’ennesima notte passata in strada. Così, dopo Roma e Milano, inizia un’odissea non meno pericolosa, tra i vagoni e sotto i tir, verso Calais e poi Londra, dove non riuscirà a rimanere.

Oggi Ziggy ha un regolare permesso di soggiorno, una casa e collabora con Progetto Arca come coordinatore di un Centro di accoglienza dopo essere stato mediatore linguistico-culturale all’Hub di prima accoglienza di via Sammartini a Milano.

“Ho iniziato due anni fa come volontario. Tutti i pomeriggi dopo il lavoro andavo ai giardini attorno alla Stazione a dare una mano ai profughi eritrei che si raccolgono lì. C’è un grande bisogno di qualcuno che dia informazioni e che li consigli nella loro lingua.” Cosa dici ai tuoi compagni? “Incoraggiarli non è facile, ma io ci provo”.

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