Milano, ore 20.30 di un martedì sera. Al civico 7 di via San Giovanni alla Paglia è già in moto il pulmino di Progetto Arca, pronto a partire carico di trolley con panini appena farciti, distributori di the caldo, coperte e kit igienici. A bordo, salgono i volontari di questa serata che porterà l’Unità di strada nella periferia nord est della città.
Alla guida c’è Vittoria, fiorentina con un lungo passato da scout che dedica una sera su 7 a settimana a questo impegno “e tutto il resto lo chiudo fuori! Perché nell’Unità di strada devi metterci un po’ di te stessa: è importante come sei e come ti relazioni con gli altri”.
Accanto a lei è seduta Giovanna, che ha conosciuto Progetto Arca grazie a uno spot di Enzo Iacchetti. “L’Unità di strada era ciò che cercavo, perché alla relazione di aiuto diretto unisce un aspetto dinamico, e ti fa mettere nella giusta prospettiva i problemi quotidiani”.
Sta sistemando le ultime cose nel bagagliaio Luisa, che ha sentito parlare della Fondazione dai giornali nel periodo dell’emergenza siriana, e nei mesi in cui vive a Berlino sente la mancanza dell’appuntamento del martedì sera. “Le cose che mi sono piaciute subito di Progetto Arca sono la concretezza e le poche chiacchiere. Avevo bisogno di mettermi in gioco, e qui ho potuto farlo subito”.
Sale sul pulmino Cristiana, di mestiere dentista e di passione cooperante, che ha iniziato il volontariato 4 anni fa nella mensa di un Centro di accoglienza di Progetto Arca. “E poi ho scelto l’Unità di strada perché, oltre a conciliarsi meglio con i miei impegni, qui c’è un contatto più diretto con le persone che aiuti”.
Da diversi mesi, l’Unità di strada del martedì è gestita in autonomia da queste quattro volontarie appassionate che in genere escono in coppia e coordinano l’intero gruppo dei volontari presenti, curando ogni aspetto pratico del servizio.
Spirito organizzativo, capacità di far fronte agli imprevisti e grande attitudine all’ascolto sono le caratteristiche di questa squadra che ogni martedì incontra fra le 50 e le 60 persone, più o meno sempre le stesse.
C’è Attila, che vive in un’apecar ai bordi di un vialone, e Renato, che dorme dietro a una statua vicino all’Università; e poi il curdo Alì, coltissimo e appassionato di storia e antropologia, con cui Luisa non smetterebbe mai di chiacchierare.
“Io li chiamo i resident, cioè le persone croniche della strada, che sai di trovare sempre e se un giorno non passi te lo fanno notare la volta dopo!” spiega Vittoria. “Grazie a loro ho potuto incontrare l’altra faccia di Milano. E grazie all’Unità di strada ho imparato ad avere uno sguardo in più sulle cose”.
Quando il giro finisce è trascorsa da poco la mezzanotte, le 4 volontarie si salutano e tornano a casa “stanche ma tanto appagate” confessano all’unisono, pensando ancora alla frase di Ibra, il giovane nigeriano che anche quella sera ha detto loro: “Sarete stanche dalla giornata di lavoro, grazie per essere passate anche stasera”. E queste poche parole le aiutano a rimettere in ordine la priorità delle cose.