“Potessi tornare indietro, cancellerei in un colpo l’inverno di due anni fa. Ero malato, non avevo di che vivere e nessuno ad aiutarmi. Ero letteralmente un barbone”. Mentre racconta, Gianfranco ha lo sguardo incredulo di chi ancora non si spiega come possa essere successo proprio a lui. 63 anni, 39 di servizio come guardia giurata, due matrimoni falliti alle spalle, un cuore malandato che batte con l’aiuto di un pacemaker.
La vita di Gianfranco è già abbastanza complicata quando precipita in caduta libera dopo la perdita del lavoro e la rinuncia della casa che non si può più permettere. Lo ospitano gli amici, qualche parente, poi una famiglia di Sesto dove fa da badante al figlio malato in cambio di vitto e alloggio. Poi nemmeno quello.
Per un po’ ho avuto una macchina e ci dormivo ma alla fine me l’hanno sequestrata. Così sono finito a vivere in strada.
Sulle panchine di Sesto quando il tempo è clemente, negli androni e nelle sale d’aspetto di ospedali e pronto soccorso nelle notti più umide e fredde. “Mi nascondevo e aspettavo l’alba, sperando di non dare troppo nell’occhio e di confondermi nel via vai della gente. Poi il mio cuore non ha retto più”.
Gianfranco viene trovato con una valigia piena di documenti sanitari e qualche sacchetto di vestiti la notte in cui è colto da un malore, soccorso e operato d’urgenza. È l’ennesimo di una sfilza di ricoveri: “così tanti che ho perso il conto”. A ogni dimissione, il ritorno in strada e, inevitabilmente, la ricaduta. “Dopo che mi hanno operato, non sapevo dove andare, ho quasi litigato col primario, spiegandogli che non avevo una casa. Mi hanno ricoverato al Reparto Medico di Progetto Arca”.
In un mese Gianfranco recupera le forze, si rimette in piedi.
Le sue condizioni di salute sono finalmente stabili quando Mario, referente del progetto di housing sociale, gli consegna le chiavi di casa. “Una parte di me è tornata a respirare”.
L’appartamento dove oggi è accolto si affaccia su una strada tranquilla del quartiere Dergano di Milano, la prima cosa che ti balena agli occhi, entrando, è l’ordine impeccabile.
Con Gianfranco abitano altre sei persone senza dimora, dai 20 agli 80 anni passati. “Ci aiutiamo, facciamo a turno la spesa e le pulizie, chiacchieriamo, cerchiamo di tenerci su. Soprattutto il sabato e la domenica ci ritroviamo per pranzare insieme. E’ Rocco (un altro ospite della casa ndr) a cucinare perché sa mettere d’accordo i gusti di tutti”.
L’appartamento è spazioso, ha un salotto e una cucina, due bagni e tre camere da letto.
Fra i sette del cohousing, Gianfranco divide la sua stanza con Mohamed, il più giovane e l’unico straniero della casa. “E’ bravo, andiamo d’accordo e parliamo di tutto anche se ci passiamo quarant’anni di differenza. E poi è interista come me”. “Questa è l’America per noi” ripete Gianfranco, riconoscente. Una volta o due alla settimana lo viene a trovare Paolo, educatore di Progetto Arca.
A me ha aiutato tanto. Non avevo l’invalidità e adesso mi è stata riconosciuta. Ora manca solo la pensione per andare a vivere in affitto e riprendere in mano la mia vita.
La strada è un capitolo chiuso e questo è quello che conta.